REPORTAGE DALL'EGITTO
Lunedì 20 ottobre 2003
Partenza da Verona, Arrivo al Cairo.Non ero mai salito su un aereo, tranne a militare quando stiparono me e altri vigili del fuoco su una carretta del cielo, cosiddetta bara volante, per andare ad esibirci con voli, arrampicate ed altro a Trieste. Era da Roma che partii quella volta.
Questa volta l'aereo partiva da Verona. Quando lo vidi pronto a ricevermi nella sua pancia rimasi perplesso: lo giudicai come un involucro di lamiere rivettate, niente di altamente tecnologico all'esterno. E quel coso doveva levarsi in aria, e restarci?
La mia impressione cambiò quando una volta dentro mi trovai davanti ad una serie interminabile di sedili confortevoli, così lunga che pareva essere più lunga dell'aereo stesso. Il soffitto basso e la struttura rotonda mi rassicurarono su una probabile caduta del velivolo: forse mi sarei salvato. Inutile dire che sarebbe stato meglio se l'aereo non fosse precipitato, nonostante la stipula dell'assicurazione mia e di mia moglie che nel caso fosse caduto sarebbe stata una fortuna solo per i figli a casa.
Quando prese la rincorsa per il decollo, i motori si arrabbiarono, scalpitarono, dettero potenza alla strana bestia che come una mandria di bufali potente e assordante si preparava per la sfida con il cielo. Un rumore, una velocità mastodontica e paurosa si era sprigionata dall'aereo che si lanciava con questa cattiveria a vincere la battaglia.
Il dolce decollo fu la fine delle ostilità, l'inizio di una sensazione eterea e di un viaggio stupefacente; erano le ore 10.
Seppure tutti i tour operator offrano più o meno gli stessi vantaggi, penso che quello a cui mi sono affidato non potesse regalarmi niente di più di quel che mi ha fatto provare; lo stesso dicasi dell'agenzia di viaggio con la quale ho trattato (purtroppo mi hanno detto che non si possono fare nomi, altrimenti sarebbe pubblicità ). Eravamo in tre coppie: io e mia moglie, mia sorella con suo marito e un'altra coppia amica di mio cognato e mia sorella. Il marito di quest'ultima coppia era lo sfigato. Il suo pessimismo ce lo descrisse bene mio cognato ancora prima di partire, facendoci intendere che ci sarebbe stato da divertirsi. Infatti, quando ancora eravamo in attesa del pullman che da Lonigo ci avrebbe portato a Verona, Gino ci avvisò che aveva infilato una mano di plastica in quel posto, e l'avrebbe tenuta per tutto il tragitto aereo; naturalmente non mi arrischiai a controllare se la cosa fosse vera. Con gli occhi sbarrati un po' rassomigliava a Michael Douglas; ma Michael andava in cerca di avventure, mentre lui cercava eventi funerei, e la sua voce potente e sicura voleva convincerci che tutto ciò che di brutto gli capitava era vero. Gino è quel tipo che quando passa per la strada la luce si spegne (è stato lui a riferircelo, e sua moglie Franca a confermare); che s'è portato via il costume non tanto per nuotare, ma per essere pronto a buttarsi dalla nave del Nilo quando avesse preso fuoco; ma che poi sarebbe stato comunque inutile perché sarebbero stati i coccodrilli a fargli la festa. Insomma, un pessimismo esacerbato che lo rendeva degno di ammirazione per come lo ostentava.
Un pessimismo che mi preoccupò, perché all'aeroporto di Verona su 170 passeggeri forse fu l'unico ad essere perquisito con il metal detector a mano, dopo che passando sotto la porta, lo strumento s'era agitato. Ma non fu l'unico, perché anch'io dopo di lui venni accarezzato dal detector; e pregai Dio di non addossarmi subito delle maledizioni ancora prima di partire per l'Egitto. Perché in Egitto si poteva prendere di tutto, malattie intendo, e tutti facemmo provviste di medicine per la diarrea, il mal di pancia, le intossicazioni, le punture da insetti eccetera: Gino dovette averne una sporta piena.
Dopo il decollo, il pranzo. Neanche fosse stato un viaggio di giorni! Fu il segnale di quello che sarebbe successo da là in avanti: mangiare sempre, e di tutto!
Quando arrivammo con l'aereo al Cairo restai allibito dalla città per l'intensità dell'agglomerato urbano che si estendeva all'infinito: case, palazzi, grattacieli, e ancora case, sempre palazzi che non finivano mai, interrotti da qualche ponte o viadotto; e pensare che eravamo in aereo, e correvamo veloci Diciassette milioni di abitanti erano dentro quelle case; lo credo bene che fossero così tanti!
All'atterraggio tutti batterono le mani al pilota, Gino ancora di più. Non so perché ci sia questa usanza, visto che tutti gli atterraggi fatti in seguito si sono svolti regolarmente; e se ad ogni atterraggio dobbiamo ringraziare Dio per avercela fatta a non precipitare, davvero è meglio convertirsi alla filosofia di Gino.
In aeroporto aspettammo le valigie sul nastro trasportatore. Un momento piacevole, come un gioco, come quando aspetti con ansia di pescare la carta giusta. Ora dovevi aspettare la valigia, e l'eccitazione di vederla sbucare ti faceva restare in dolce attesa anche fosse stato per un tempo interminabile. Ad un tratto il nastro fu vuoto: le valigie erano finite. Naturalmente mancava quella di Gino. Non lo vidi, ma sicuramente i suoi occhi dovettero dilatarsi a dismisura, girando la testa a scatti come chi volesse afferrare la situazione in un momento. Dopo un tempo che per lui sarà stato interminabile, il nastro cominciò a rifare il suo dovere, e le valigie apparvero ancora. La sua fu l'ultima; non lo dico per caricare la scena: fu veramente l'ultima e questo mi inquietò.
In Italia ci avevano ammonito del pericolo di attentati ed altro, visto che l'Egitto è a ridosso della zona calda della guerra mediorientale, e che ci avrebbero sempre scortati nei vari tragitti. Infatti quel che mi colpì appena entrato al Cairo furono i poliziotti posti ad ogni angolo della strada. Ma non erano sul chi va là: parevano messi a presidiare il loro tratto di strada come per fare vedere che c'erano, e in tanti, e quindi che i turisti potevano stare sicuri in Egitto; infatti, di poliziotti avevano ben poco, se non il fucile che portavano in spalla come fosse una vanga. Venivano pagati poco dallo Stato, forse per questo erano così numerosi. Solo alle Piramidi vidi in seguito un pullman scortato da auto davanti e dietro; ma quelli del pullman dovevano essere americani o israeliani.
Incontrammo dei ragazzini con qualcosa in mano da venderti; sarebbe stato il preludio ad una sequenza ininterrotta di ambulanti che ti proponevano la merce con tanta insistenza da rasentare la maleducazione. Anche i poliziotti facevano la loro piccola parte; più discreti, senza insistere, e ti chiedevano una penna, caramelle o un euro.
Il pullman ci portò all'albergo Conrad. Albergo di lusso che mi ricordò gli altri alberghi che avevo frequentato, ma come cameriere. Dal pianerottolo della camera al settimo piano (ce n'erano 24) si vedevano case vecchie e grigie, senza tetto, con terrazze che ospitavano calcinacci e immondizie da chissà quanto tempo; proprio sotto di noi, su una terrazza, delle oche avevano stabilito là la loro dimora. E in ordine sparso, tra il degrado generale si ergevano come funghi di buona famiglia grattacieli ad uso alberghi, come fuggissero dal sudiciume che stava sotto.
Le strade erano caotiche per il traffico convulso e il frastuono di clacson. Non esistevano semafori e se c'erano venivano ignorati. Passava chi arrivava prima, o chi aveva più coraggio; e tutti si rispettavano, nonostante fosse una autopista più che una strada con incroci. Se dovevi sorpassare suonavi il clacson e acceleravi deciso; tutti sorpassavano, chi a destra, chi a sinistra.
Parlando profondamente si può dire che se l'ordine delle cose è dato dalla matematica, qui al Cairo è dato dai frattali, quella materia che misura le cose nel loro disordine; perché il traffico scorreva senza incidenti, senza provocazioni, segni volgari, irritazioni o scazzottature o accoltellamenti.
Lo smog aleggiava come una coltre che copre la sua origine, e lo sentimmo noi sei quando uscimmo in strada in attesa della cena. Respirai col naso ed espiravo con la bocca, pensando a quanti tumori dimezzassero le vite dei cairoti. Dovevamo attraversare la strada per raggiungere un mercatino, ma non si potè: c'era più pericolo che non sull'aereo se si fosse schiantato. Costeggiammo la strada dalla nostra parte e ci accontentammo di una passeggiatina senza meta.
La sera fu una cena da signori. Avevamo un tavolo tutto per noi sei, e ci servirono egregiamente.
La stanchezza ci portò volentieri in camera, e là (eravamo solo io e mia moglie) dormimmo da pascià; non senza prima avere scrutato dal balcone il Cairo by night, con le torri che facevano da contrappunto a quello che stava sotto, come già scritto.Martedì 21 ottobre
La città dei morti, Visita alla moschea di Mohamed Alì, Museo egizio, Mercato, Piramidi di notte.A questo punto entra in scena Adamo, la nostra guida egiziana. Fra tutte le meraviglie dell'Egitto, le tre che mi sono rimaste più impresse sono state: il tesoro di Tunthankhamon, le Piramidi e Adamo. Lo si potrebbe chiamare anche Adamòn I per la conoscenza completa della storia dei suoi avi; e lo si capiva quando con quel suo fare divertente diceva: "Domande? ". E lui rispondeva a tutto. Poteva anche raffigurarsi come il figlio di chi lo creò perché lo vidi perfetto, anche nella spiegazione, che spesso alternava a battutine italiane che ci facevano divertire e stupire allo stesso tempo per la sua conoscenza profonda dei costumi italiani. Deve soggiornare tanto in Italia per riuscire ad ironizzare su noi italiani, o quantomeno stare davanti alla televisione italiana da mattina a sera. Ci parlava delle trasmissioni di Alberto Angela riguardo le Piramidi, delle mostre di reperti egiziani in città italiane, del museo egizio di Torino. Confrontava la vita nostra con quella loro; e del suo popolo ne conosceva la condizione, la storia recente, gli eventi. Ci descriveva i monumenti, le piazze del Cairo, i mercati, il perché di un evento o delle case diroccate Secondo me doveva vivere in ogni posto contemporaneamente per sapere tutte queste cose.
Adamo, nel fisico mi appariva un miscuglio di personaggi che conosco: aveva l'incedere e la testa di Miro, il timbro di voce di Antonio e la parlantina di Gianfranco. Insieme formavano Adamo, che al Museo Egizio ci portò a vedere la statua "più bella" del museo; e quando le fummo appresso lui si mise in posa al suo fianco e constatammo che le due facce erano uguali.
Adamo era simpatico, alla buona; doveva essere anche una celebrità in Egitto perché quando le altre guide lo incontravano erano loro ad avvicinarsi e salutarlo come si fa con un amico sì, ma alto in grado. Lui scherzava sempre con le sue battute azzeccate e ci invitava a proseguire. Se un gruppo di turisti si soffermava oltre davanti ad un monumento, lui li faceva sloggiare amichevolmente: insomma era proprio un boss. Scherzava anche con noi quando, capendo la nostra stanchezza, esclamava: "Pubblicità!", o rimandava la risposta al giorno dopo, quando saremo stati sul sito. Nacque una fraterna confidenza tra lui e Pasquina, una signora non più giovane che, socievole e simpatica, pure lei accettò la sua "protezione" e nacque così la coppia Adamo ed Eva, perché lui subito la chiamò con questo nome.
Vicino al pullman in partenza c'erano due ragazzini che volevano pulirci le scarpe; nessuno del primo gruppo usufruì del servizio, e loro si rimisero a parlare divertendosi. Uscì il gruppo del pullman numero 20 (noi eravamo il pullman n. 1, con ben scritto Adamo sul parabrezza), ed anche loro sgattaiolarono via. Ancora i due amichetti continuarono a parlare come se il loro lavoro fosse un hobby dal quale non importava se guadagnavi o no, bastava proporre il servizio. Mi sembra infatti che gli egiziani abbiano già di che vivere, e il commercio di cianfrusaglie sarebbe un'entrata in più alle loro risorse. Infatti, come ci raccontò poi Adamo, il problema più importante per loro era la casa, non tanto casa come noi europei la intendiamo, ma come riparo per la notte; e siccome gli affitti sono irrisori, nessuno affitta più. Chi possiede una casa è fortunato perché può vivere abbastanza bene. Ritornando ai due ragazzini, li vidi, mentre il pullman partiva, che scherzavano tra loro e ci salutavano come un parente che se ne va, Mi commosse questa scena.
Nel viaggio alla moschea costeggiammo la città dei morti: Uno sterminato cimitero dove dentro alloggiava chi non riusciva a trovare casa. Questi abitavano dentro cappelle, e loculi; là vivevano la loro vita accontentandosi della televisione con l'antenna parabolica, dove passavano il maggior tempo della giornata a guardarla. Il governo ha costruito la scuola e la chiesa per questi infelici abitanti, proprio dentro il cimitero; cosicché può accadere che ci siano matrimoni e funerali celebrati nello stesso momento, nello stesso luogo.
Quando entrai nella moschea scalzo ebbi l'impressione di trovarmi sotto la cappa del cielo. Una sola cupola alta creava uno spazio vasto e tuttavia raccolto, dove si pregava senza l'assillo dei banchi o sedie, degli altari minori e di quello maggiore. Dove non esisteva l'architettura delle nostre chiese a croce latina. I tappeti che coprivano tutto il pavimento inducevano alla rilassatezza e alla serenità che ti facilitava il rapporto con Dio.
Entrammo al Museo Egizio. Adamo ci mostrò quello che c'era di più interessante, senza soffermarsi su tutto, altrimenti ci sarebbero voluti tre mesi. Di quel che ammirai prima del tesoro di Tuthankhamon ricordo lo Scriba, la statua rassomigliante ad Adamo, gli Sposi e la statua di diorite: il materiale più duro conosciuto a quei tempi, col quale si scolpivano le altre statue. Mi chiesi allora con cosa avessero scolpito quella statua, e quando interrogai Adamo, lui rispose candidamente: "Mistero!". E pensare che Adamo è uno che non crede a leggende o dicerie di Piramidi costruite 10.000 anni prima di Cristo, magari dagli dei; era un pragmatico che frenava la nostra fantasia. Quando arrivammo nella sala di Tuthankhamon, la vista dei tesori cancellò quello che avevo ammirato prima. Il modo in cui era stato sepolto: grandi casse dorate e dipinte grandi quasi come camere, una dentro l'altra come matriosche, dove dentro la più piccola c'erano sarcofagi, sempre uno dentro l'altro fino a quello sublime, il sarcofago in oro zecchino pesante 110 chili, dove dentro riposava la mummia coperta con la maschera in oro. Prima ero rimasto sbalordito dal suo tesoro: collane, bracciali e tantissimi altri monili finemente lavorati con l'oro che talvolta era in filigrana e talvolta sbalzato su anelli minuscoli e sottili. Una cosa incredibile e incomprensibile. Poi, i vasi, i candelabri, le varie composizioni in alabastro così perfette e aggraziate e delicate nella loro sottigliezza mi facevano pensare che fossero proprio opera degli dei.
Adamo ci disse che se Tuthankhamon, che aveva regnato solamente nove anni, possedeva così tanti tesori, gli altri faraoni che avevano regnato anche 67 anni, come Ramsses II, dovevano possedere Dio sa quanta ricchezza in più. Tutta depredata nei secoli, od anche subito dopo la sepoltura. Fu in questa occasione, credo, che la nostra simpatica guida ci ingiunse di fare attenzione nel mangiare cibi crudi, in quanto saremmo diventati come il faraone, altro che invece di chiamarci Tuthankhamon saremmo stati chiamati "Tutancagon", e continuando, non so in quale altro luogo ci consigliò di stare molto attenti alla "Dea-rea". Insomma, così era Adamo.
Pranzammo in un barcone del Nilo attraccato alla riva, dipinto alla moda dei faraoni, dove, sia all'esterno, ma ancora più all'interno, le decorazioni in oro e il colore azzurro spiccavano con magnificenza. Ci accolse un "faraone", e il pranzo si rivelò anche una festa per l'eleganza dell'ambiente interno e per il Nilo che dalle vetrate lo vedevi scorrere lentamente. Altri natanti simili erano ormeggiati sulla riva, e tutti inducevano a riportarti agli antichi splendori.
Il mercato del Cairo che visitammo si dimostrò una lunga bolgia colorata dove i venditori si appressavano opprimenti per venderti qualsiasi cosa. Bastava tu guardassi la merce che tenevano in mano o sulla bancarella ed eri segnato: ti rincorrevano se scappavi e insistevano, insistevano così tanto che dovevi allungare ulteriormente il passo per divincolarti; mi sembrava di vivere la scena di "Jesus Christ Superstar" quando si trovava tra i lebbrosi che gli si aggrappavano addosso. C'era di tutto sulle bancarelle: un miscuglio di indumenti, ornamenti, oggetti di vario genere, ed alimenti esposti all'aria soffocata, intrisa di odori di spezie e olio fritto che, almeno per me uomo, mi spingevano a lasciare subito quel luogo. Ma c'era mia moglie ed altre donne con me, e dovetti rassegnarmi ad aspettarle in ogni tappa che loro facevano. Non vedevo niente di interessante per i miei gusti; ma come si sa, le donne hanno altre visioni e comprano oggetti all'apparenza insignificanti. Regali, senza che ci fosse un destinatario preciso; d'altronde, la merce si presentava allettante così colorata e ricamata, e a buon prezzo se contrattavi fino all'ultimo sangue, come ci consigliava la nostra guida.
La sera cenammo in un ristorante tipico del posto, Caviar, così si chiamava, vicino alle Piramidi, che noi ancora non vedevamo per il buio che già era sceso, anche perché in Egitto il buio arriva prima che in Italia, e alle 17,30 dell'ora legale italiana, che poi era la stessa dell'Egitto, si vedevano le ombre calare improvvise.
Di lì a poco ci sarebbe stato lo spettacolo delle Piramidi illuminate. Ero ansioso di vedere queste tre meraviglie, si può dire che ero andato in Egitto solo per questo: volevo vedere da vicino la loro imponenza. Mi trovavo seduto su una delle moltissime sedie disposte sopra la sabbia del deserto. Non c'erano tanti spettatori, forse solo il gruppo del nostro tour operator. La luce illuminava sinistramente la platea; davanti a noi il buio più fitto, e in quel buio sapevo che si celavano le Piramidi. Una sensazione di attesa che ti emozionava, che ti avrebbe spaventato quando sarebbero apparse.
Quando vennero illuminate l'emozione fu forte, ma non tanto per la grandezza dei monumenti, quanto per il fatto che finalmente le vedevo da vicino. Anche perché al buio, sia pure illuminate, non riuscivo a comprendere le loro misure. Restai quindi abbastanza deluso dalla scena, e dalla storia fantastica raccontata tramite altoparlanti. Ma il giorno dopo sarebbe stato il vero incontro con loro, e avrei potuto constatare quanto gigantesche fossero, con gli enormi massi che le formavano.Mercoledì 22 ottobre
Piramidi, Barca, Bottega dei papiri, MenphisMan mano che ci avvicinavamo con il pullman, vedevo queste masse appuntite ingrandirsi sempre più. Ma ancora non riuscivo ad afferrarne la grandiosità. Fu quando mi trovai sotto la piramide di Cheope che lo sbigottimento mi prese, per l'altezza e l'enorme quantità di massi (più di due milioni) con i quali era formata. Alzavo lo sguardo e vedevo la cima là in alto; guardavo di lato e vedevo i 230 metri che si snodavano fino in fondo, e la lunghezza unita alla massiccia maestosità mi fecero intuire che stavo davanti a qualcosa di inconcepibile. La mente, quando non può afferrare la portata di una visione o sensazione, ti blocca sul limite della comprensione e tu ti devi accontentare di "intuire" quello che vedi o stai provando; con una piccola digressione ciò può essere accomunato alla morte di un famigliare che, se ne comprendessi la reale portata impazziresti, o saresti indotto a compiere gesti insani; o la bellezza del firmamento, che dovrebbe annientarti all'istante, sempre se realizzassi interamente quel che ti sta sopra; o quando ti trovi davanti allo specchio, e vedi la tua immagine: dovrebbe spaventarti ed annichilirti all'istante. Invece no, il buon Dio ha posto un freno alle nostre emozioni, e così le Piramidi le vidi come monumenti maestosi e imponenti che ti scuotevano; ma non svenni. Però le mie gambe e il mio sguardo mi portavano sempre là, a quell'ammasso inverosimile di grossi blocchi, a mirare la stupefacenza dell'Uomo; a mirare la punta di quella di Chefren, punta ancora coperta del suo manto, perfettamente levigata, con quegli spigoli perfetti che ti imbarazzavano.
Entrando dentro la piramide di Micerino constatai come gli antichi egizi dovettero essere imparentati con le formiche per costruire quei corridoi, e sale, e svincoli, e camerette eccetera: tutto mentre la Piramide sorgeva. E i corridoi erano alti, larghi, lunghi, ben levigati. Ed ancora una volta la valvola della perfetta comprensione si chiuse nel mio cervello; anche perché quando ti trovi in mezzo allo straordinario, lo spirito di adattamento della mente quasi annulla l'emozione delle continue meraviglie che ti stanno di fronte e le giudichi partendo dal fatto che sono appunto delle meraviglie umane.
La barca antica, costruita senza chiodi (gli antichi egizi non conoscevano il ferro), lunga 42 metri, con la prua e poppa sagomate con quegli speroni che ricordai di avere visto in qualche film dell'infanzia, mi apparve gigante: era gigantesca per quei tempi; e ancora una volta mi posi la fatidica domanda: "Come avranno fatto?". Adamo mi disse che le tavole provenivano dall'Alto Egitto, che vuol dire dal sud, e che le avevano tagliate e levigate con roccia o legni ancora più duri, o il bronzo. Bah, a me sembravano assi uscite da una piallatrice del falegname, e tagliarle con dell'altro legno, o roccia, o bronzo proprio non riesco a concepire come abbiano potuto fare.
La bottega dei papiri fu un'esperienza interessante in quanto ci dimostrarono nella pratica come si costruivano questi supporti su cui scrivere. Innanzitutto ebbi modo di vedere la pianta del papiro, a sezione triangolare, il suo taglio, la messa in acqua e l'incollatura a sezioni perpendicolari. Naturalmente, il tutto era rivolto a che noi comprassimo i papiri moderni esposti, i quali apparivano interessanti anche al solo osservarli, e ci davano ulteriori nozioni sui disegni e geroglifici degli antichi egizi.
Dopo aver pranzato in un ristorante caratteristico, a base di pesce, ci dirigemmo a Menphis per visitare la Sfinge di alabastro e il colosso sdraiato di Ramsses II, il megalomane, come lo definiva il nostro Adamo, in quanto si raffigurò in ogni modo e grandezza per tutto l'Egitto; persino ad Abu Simbel, nel tempio della moglie Nefertari volle essere presente con quattro statue gigantesche, mentre lei dovette accontentarsi di due solamente.
A Sakkara, la tappa successiva, entrando sul sito della Piramide a gradoni potei osservarla ed ammirarla per quel che rappresentava: la prima piramide in assoluto, che tra l'altro era stata ampliata mostrandone l'incollatura. Il tempio con il colonnato portava ad un pozzo profondo dove venivano calati i morti, se ho capito bene, con un sistema tanto semplice quanto impegnativo: si riempiva il pozzo di sabbia, vi si adagiava sopra il sarcofago, e poi si levava la sabbia dalla parte inferiore di tale pozzo, cosicché la bara scendeva senza scossoni.
Le pietre levigate che formavano un muro mi stupirono; chiesi ad Adamo, che mi disse che erano state levigate con pietra pomice e sabbia Adamo ci mostrò in lontananza due piramidi, dicendoci che una era stata iniziata con una angolatura troppo larga, e quindi ad un certo punto avevano dovuto ridurre l'inclinazione, dando così alla fine alla costruzione una impronta romboidale. E la vedevamo questa piramide mal riuscita, sostituita poi dall'altra che appariva perfetta.Giovedì 23 ottobre
Abu Simbel, Asswan, Motonave, Isola Elefantina, Derviscio.Quando il telefono squillò alle 2,30 della notte, ero già sveglio da mezz'ora, così pure mia moglie. Non fu una levataccia per il fatto che, come già scritto in altre parti, talvolta mi alzo a quell'ora o giù di lì. Dovevamo andare all'aeroporto del Cairo, e da là volare verso Abu Simbel, il sito più a sud dell'Egitto. Dopo un'attesa abbastanza lunga salimmo finalmente nell'aereo e decollammo. Non avevamo ancora preso quota che ci servirono del tè con pasticcini: chissà, forse volare è un connubio perfetto con mangiare. Alle 7 arrivammo ad Abu Simbel ed andammo subito a visitare il tempio di Ramsses II, il megalomane, il tempio segato e spostato dall'isola su un luogo più alto, pezzo per pezzo. Questo tempio ha di caratteristico i quattro colossi raffiguranti il faraone all'entrata e il fatto che un raggio di sole, proprio il giorno del compleanno del nostro Ramsses, filtrava attraverso il corridoio ed andava ad illuminare un'altra sua statua che stava in fondo assieme alla regina, al sacerdote, e al dio della morte, che quest'ultimo, appunto per la sua carica, non veniva illuminato. Ora, invece, dopo avere spostato il tempio, il raggio di sole illumina la statua un giorno dopo, per via dell'altezza su cui è stato posto. Poco distante stazionava il tempio di sua moglie, la regina Nefertari che, come scritto, ebbe il privilegio di avere due statue contro le quattro del marito.
Ritornammo all'aeroporto ed in aereo arrivammo ad Asswan, per imbarcarci sulla nostra motonave.
Quando attraversammo 4 o 5 motonavi attraccate per arrivare alla nostra "Lady Cristina", fu una passerella lussuosa, dove mi sentivo un personaggio senza che ne avessi il carisma, e quando arrivai alla nostra e ci accolsero con del karkadè, una bevanda calda ricavata da fiori di ibisco, mi sentii addirittura imbarazzato. La nave di lusso mi accoglieva e mi avrebbe trasportato in crociera lungo il Nilo. Ci assegnarono la camera e la trovai confortevole, ampia, e naturalmente con vista sul Nilo. La sensazione che provai fu di vivere un ulteriore sogno dopo aver visto quel che finora mi aveva tanto entusiasmato.
Il pranzo fu al buffet. Salii poi sul ponte e fu una vista meravigliosa: davvero mi sentivo come un miliardario.
Prima di sera salimmo su una barca, che venne legata parallelamente ad un'altra, e così, come un catamarano, partimmo per il giro intorno all'Isola Elefantina. Delle antiche tombe si stagliavano in buchi quadrati sulla roccia rossa del monte. Si nascondeva tra il verde la villa dell'Aga Khan, e più sopra il suo mausoleo. Il giardino botanico doveva essere un paradiso dal di dentro; e i massi di granito che, veramente, avevano la forma di un elefante forse erano quelli che dovettero aver dato il nome all'isola.
Sulla barca, improvvisamente il ragazzino che ci accompagnava, oltre al pilota, estrasse da un sacchetto delle collane e cominciò a proporcele. Quasi tutti ne comprammo, trattando, ovviamente. Quel che mi incuriosì fu l'assoluta fiducia che il venditore ci concedeva, e questo lo notai quando lasciava il mucchio di collane su un asse della barca e andava in giro per vendere quelle che aveva in mano. Non si preoccupava minimamente a che fossero sparite, anche perché le donne le osservavano, se le provavano, le presentavano ad altre donne; poi le mettevano al suo posto o le compravano. Anche in altre occasioni constatai la buona fede degli egiziani, che pure vivevano di povertà; ecco, vivevano nella povertà, ma non c'era criminalità o deviazioni del tipo drogati, tanto per intenderci: le loro facce erano sempre allegre e non immusonite come certi giovani qui da noi che sembrano siano stati toccati dalla malasorte, quando la malasorte era capitata a quelli che abitano in Egitto che dovevano sopravvivere giorno per giorno.
Dopo la cena in motonave ci fu lo spettacolo sulla pista da ballo. Entrò un derviscio, cioè un ballerino della religione islamica il cui girare intorno danzando doveva essere la manifestazione della sua fede. Costui, vestito del suo costume variopinto, girava, girava sempre al suono della musica, e mai aveva un tentennamento per cadere. Il costume a raggiera gli faceva da banderuola ed era un piacere vederlo. Alla fine, più stanchi noi che lui del girare, si fermò quando la musica finì, e tutti applaudimmo a quello strano e affascinante spettacolo. Lui scomparve e apparve una ragazza decisamente formosa. Iniziò la danza del ventre, che mi è ancora impressa, non tanto per la sensualità che poteva provocare, ma per l'assoluta incapacità della danzatrice per niente sexi di portare avanti lo spettacolo, e soprattutto per quelle gesta antipatiche rivolte agli orchestrali per fare loro intendere che la finissero di suonare, che dovevano correre in un'altra motonave. Infatti la musica terminò, e i musicanti e lei, letteralmente fuggirono per arrivare in tempo nell'altro posto prenotato.
Venerdì 24 ottobreDiga di Asswan, Tempio di File, Tempio di Com-ombo, Cena in costume.
In pullman arrivammo alla diga di Asswan, dove Adamo ci spiegò dettagliatamente perché fu costruita, i benefici che produceva, e pure i danni. La diga, con le sue misure eccezionali (fu adoperato materiale sette volte tanto quello della piramide di Cheope) forma il lago Nasser, lungo 500 chilometri. Essa regola il flusso dell'acqua, così da evitare l'avvicendarsi delle piene del grande fiume che, se portatrici di fertilità, erano pur sempre un problema per la gente del Nilo; inoltre genera tanta energia elettrica da soddisfare il fabbisogno dell'intero Egitto, anzi ne viene anche esportata.
In barca visitammo il tempio di File, anche questo spostato su un'altra isola più elevata, dove i bassorilievi erano ovunque, con la solita bellezza incomparabile.
Al ritorno sulla motonave Lady Cristina fummo ancora accolti dagli inservienti che ci presentarono la salvietta umida, che poi era un piccolo asciugamano, e un bicchiere di limonata.
Pranzammo, e il pomeriggio fummo invitati sul ponte della nave per gustare il tè coi pasticcini. La gente appisolata sugli sdrai pareva essersi ambientata facilmente a quella vita agiata, e oltre vedevo le altre motonavi, con gente sopra il ponte che facevano le stesse cose che facevamo noi, cioè niente; ed oltre ancora, il Nilo con le sue rive lussureggianti.
Attraccammo vicino al tempio di Com-ombo, formato di due unità in quanto vi si adoravano due dei, e dietro mi colpì il gigantesco calendario egizio e l'elenco raffigurato degli strumenti medici e medicine di quel tempo.
Era già buio e per arrivare alla nave dovemmo passare davanti ad una fila di bancarelle variopinte. Quel che mi stupì in questo frangente fu la condizione in cui si trovavano i venditori: dovevano stare assolutamente dietro la linea bianca davanti la propria bancarella. Potevano gridare invitandoti a comprare, mostrandoti la merce esposta o in mano. Ma non potevano oltrepassare quella riga. Mi pareva di vedere dei reclusi che reclamavano la libertà dalle sbarre, che però, una volta oltrepassata quella riga, i reclusi eravamo noi.
La cena fu in costume. Io mi ritengo una persona pragmatica e di solito non mi comporto al di fuori dei canoni del mio carattere; in poche parole, solo da bambino mi sono vestito a carnevale, e non mi sarei vestito qua in Egitto pensavo. Eccomi invece con la galabeya e un basco addosso, e una faccia da far compassione per la finta vergogna. Poi mi misero un turbante in testa in modo che fossi uno sceicco, anche se io pensavo di essere un faraone, e quando una signora mi chiese quante mogli avessi, risposi: solo Nefertari. A dire la verità mi abituai subito al travestimento, e ci trovai gusto visto che non ero solo ad essere vestito in costume. Provai la sensazione di chi si nasconda dietro una maschera per assaporare cosa volesse dire libertà di osservare le persone da una dimensione privilegiata in quanto coraggiosa.
Cenammo col costume che ormai faceva parte della nostra pelle. Salimmo poi sul ponte; giocammo a Bingo alla sala bar, e alla fine ci fu chi ballò. Io no, sarebbe stato troppo! Anche se qualche donna mi tirò per congiungermi con chi girava intorno allegramente.
Tornato in camera con mia moglie aprii la tenda e lo spettacolo improvviso del buio intenso mi spaventò: eravamo in mezzo al Nilo che viaggiavamo, e il buio così fitto io non l'avevo mai visto. Qualche tenue luce si vedeva sulla riva. L'acqua era là, appena sotto di me, che scorreva. Un silenzio che poteva incutere terrore.
In seguito provai ancora questa sensazione, ed anche quando era giorno, la sorpresa di trovare a ridosso della finestra il Nilo aperto od anche la paratia di un'altra motonave quando eravamo attraccati, se non un inserviente che puliva il vetro, mi faceva paventare l'apertura dell'ampia tenda sull'ampia finestra fissa: era una visione improvvisa e vicina.Sabato 25 ottobre
Edfu, Tempio di Horus, Chiusa di Esna.
Nella notte attraccammo ad Edfu, dove al mattino visitammo il tempio di Horus. Ci andammo in calesse. Fu uno spettacolo mai visto: non c'erano pullman ad aspettarci, ma una serie innumerevoli di calessi inghirlandati, guidati da cocchieri esaltati che parevano pronti a scattare per una gara. C'era confusione ed agitazione al raduno: i calessi si urtavano quasi, i cocchieri chiamavano tutti a montare da loro, forse per non stare senza clienti. Durante la corsa uno superava l'altro, e mi chiedevo come facevano a non scontrarsi con me sopra. Pareva la corsa delle bighe in "Ben Hur".
Il tempio si distingueva dagli altri per i due alti piloni (36 metri) e lo stato di conservazione pressoché perfetto; le colonne e l'altare erano di prammatica.
I calessi ci attendevano appiccicati per il ritorno; individuammo presto il nostro cocchiere, che ci fece segno e ci dirigemmo verso la nave. Il guidatore ci indicava le botteghe e varie costruzioni ai lati della strada; lo sapevamo perché lo faceva, e una volta arrivati gli detti un euro di mancia. Lui ne volle un altro dall'altra coppia che era mia sorella con suo marito. Ci sembrò eccessivo, e mio cognato si defilò scappando dal nostro accompagnatore che lo inseguiva. Il richiedere le mance per qualsiasi servizio era per noi ossessionante. Ma in Egitto è così, e ci si abitua, come all'insistenza offensiva dei venditori di ogni genere.
In motonave ci accolse il solito inserviente con l'asciugamano umido e la limonata; stavolta mi parve esagerato adoperare l'asciugamano per una passata sul viso e mani, e lo rifiutai; ma la limonata la bevvi di gusto.
Quello stesso mattino trovai il tempo e la voglia di fare il bagno nella piscina sul ponte. Piccola com'era, bastava solamente a rinfrescarmi, e se nuotavo sotto acqua era solo per tre o quattro metri.
Dopo il pranzo ci andai ancora in piscina e scoprii che nuotando da un angolo all'altro opposto potevo fare durare di più la nuotata subacquea.
Alla sera arrivammo alla chiusa di Esna. L'attesa per passare era estenuante per noi che ci trovavamo sul ponte: volevamo osservare come le porte si aprivano e chiudevano, e l'acqua riempire il bacino. Lo potemmo vedere solo quando fu buio, e fu un'esperienza interessante, anche se avevo visto qualcosa di simile a Dolo, vicino al mio paese. Invece quel che mi scosse fu la vista di qualche ora prima dei venditori egiziani, piccoli e grandi, che sulla riva da basso presentavano gridando la loro mercanzia; sembravano disperati, e noi sopra i loro aguzzini. Non potevo sopportare quella scena e mi defilai. Quando vidi arrivare sopra il ponte dei contenitori per pellicola per macchine fotografiche mi avvicinai alla balaustra per vedere cosa succedesse; fu così che capii che da basso i ragazzi li gettavano pieni di sabbia perché fossero messe dentro delle monete e rilanciati giù. Avevano trovato questo semplice, ma efficace espediente della sabbia come zavorra, e pensai al proverbio che dice: la necessità aguzza l'ingegno. Ma quanta miseria in quel comportamento! E la compassione che provavo mi fece allontanare ancora. Ma l'attesa era lunga e più volte mi accostai per vedere, magari per un attimo quelli da basso; fu così che mi capitò di vedere una scena raccapricciante: dal ponte fu lanciato giù uno di questi contenitori, sicuramente con un euro dentro; ma questo non raggiunse la terra ferma e cadde in acqua. Vidi un ragazzino buttarsi nelle acque putride del Nilo e nuotare fino all'involucro; una volta afferratolo lo alzò in segno di vittoria e ringraziamento verso quello che lo aveva gettato. Quel che mi scosse ulteriormente fu il fatto che s'era tuffato proprio vicino ad uno scarico fognario; fu un turbamento così acuto come se avessi visto una morte in diretta. Poi il ragazzino, non so il perché, si lavò addirittura le mani sul liquido che usciva dal tombino.
Vedevo tappeti ributtati sulla riva, chiaro segno che non piacevano o costavano troppo, quindi venivano ritornati ai venditori: erano pillole di disperazione per quelli laggiù.
La cena fu al lume di candela, e quasi tutti dettero sfoggio dei vestiti più eleganti che avevano nella valigia.Domenica 26 ottobre
Valle dei re, Valle delle regine, Fabbrica di alabastro, Tempio di Habu, Colossi di Memnone, Tempio di Luxor, tempio di Karnak, albergo Moevenpick
Dovemmo alzarci alle 5 perché il caldo ci avrebbe fiaccati. Con il pullman andammo alla Valle dei re. Il nostro Adamo, sempre allegro, uscì con una battuta chiamandoci la famiglia Adams, visto che dipendevamo da lui Adamo; in seguito, in non so quale tempio, si mise sopra uno scalino ed atteggiandosi a Mussolini, a cui somigliava moltissimo, esclamò: "Italiani! ". Era proprio divertente il nostro Adamo, che ci fece visitare le tombe, a suo parere erano le più interessanti, vale a dire una di un faraone che aveva regnato solo quattro anni, per cui il corridoio che portava alla camera sepolcrale mostrava le pareti perfettamente incise di geroglifici e figure per un tratto, e poi fu decorato con soli disegni in quanto si doveva seppellire il faraone in fretta. Nella valle delle regine, una tomba che era adibita per una regina fu incisa e dipinta finemente in 70 giorni (il tempo che ci voleva per la mummificazione) perché si doveva seppellire suo figlio di 12 anni. Nella camera era rannicchiato in una teca anche un feto, partorito in seguito.
Nella valle dei re, come in altri siti del resto, si incontravano delle scolaresche in visita pure loro, era commovente la vista di questi bambini, ma soprattutto delle ragazzine che, alcune col velo, pantaloni neri, viso bruno, occhi profondi come truccati, non sapevi se erano ragazzine o piccole signorine, tanto erano eleganti nella loro divisa, e il loro incedere aveva un che di esotico che ti incuriosiva. In Egitto, gli scolari indossano la divisa, e questo per me è un chiaro segno dell'ordine e disciplina; poi, Adamo ci disse che la divisa serviva anche a non creare differenze nel vestiario con sfoggio di abiti firmati.
Quando ci fermammo alla fabbrica di alabastro, trovammo tre lavoranti che fuori dalla porta erano alle prese con questo materiale: uno scolpiva un vaso, un altro lo traforava con un largo trapano manuale e l'altro lo incideva. Dentro ci impartirono la lezione sull'alabastro; e poi tutti sguinzagliati a comprare. Quel che mi irritò fu all'uscita, quando i tre che lavoravano fuori ed erano stati elogiati da Adamo, volevano a tutti i costi venderci dei pezzetti di materiale; era come se dei professori si mettessero a vendere libri fuori dalla scuola. Poi si appressarono altri ragazzini che non ti lasciavano passare per venderti altre cianfrusaglie. Fuggii in pullman e da lì continuai ad osservare la scena.
Ci soffermammo al tempio di Habu, dalle colonne gonfie, imponenti, dai colori sui soffitti, dove per la prima volta si poteva vedere un portale di stile cinese.
I colossi di Memnone si alzavano isolati sull'erba verde; si dice che il loro nome derivi da un lamento che generavano quando il vento attraversava una fessura, e che il dio Memnone dell'antichità avesse qualcosa a che fare con questo lamento.
Riattraversammo il Nilo e giungemmo al tempio di Luxor. L'obelisco, le gigantesche statue granitiche, la moschea incorporata, la stele di Costantino con la quale si permise alla chiesa cattolica di celebrare nel tempio i suoi riti, sono senz'altro le peculiarità che rendono questo monumento così importante tra tutte le altre meraviglie dell'Egitto.
Il tempio di Karnak era ancora più maestoso, e vasto. Le sue colonne immense e artistiche (nella sala delle colonne ce ne sono più di cento), i due obelischi e un altro steso a terra, dimezzato (un altro ancora si trova a Place de la Concorde a Parigi) mi fecero rabbrividire per questa opera dell'ingegno umano.
Dopo il pranzo in motonave partimmo in pullman alla volta dell'albergo, dove avremo soggiornato per l'ultima notte. L'albergo si trovava su un'isola del Nilo. Formato da vari bungalow, con una grande piscina era qualcosa di inimmaginabile ai miei occhi, e dovetti sforzarmi a fare la parte del ricco. Davanti al nostro bungalow pareva ci aspettassero due sedie, un tavolino e uno sdraio. Il tempo era bellissimo, come sempre, e decisi di andare in piscina. Qui sfogai la mia voglia di nuotare; nuotai spesso sotto acqua e alla fine mi si fece notare che i miei occhi erano alquanto rossi. Bastò un po' di collirio di mia sorella e tornarono come prima.
Osservammo il tramonto sul Nilo e scattammo qualche foto; era un paesaggio che creava una sensazione di pace, di immobilità, come se la vita si fosse messa a passo ridotto di fronte al sole che calava sul grande fiume. Sentivo che la vacanza era un sogno meraviglioso che stavo vivendo sapendo che non era un sogno.
Cena al buffet e a letto.Lunedì 27 ottobre
Partenza ed arrivo a casa.Mia moglie con il resto della compagnia fecero presto la colazione perché dovevano andare al mercatino delle spezie a Luxor. Io mi alzai tardi, andai a fare colazione al ristorante e poi feci il giro del villaggio, perché di un villaggio si trattava, costeggiando per un tratto il Nilo.
Scoprii ancora la magnificenza del fiume, questo eroe vecchio e silente. Vidi distante un egiziano che imperturbabile e lento si levava la tunica e fare il bagno nelle acque del fiume; si risciacquò, si rimise la veste e rimontò sulla barca, per andare chissà dove; tutto nel silenzio. Questo paesaggio carico di ricordi, e consapevole della storia di cui fu partecipe mi induceva a dimenticarmi del Dio di lassù ed adorare l'aura che regnava intorno. Un bananeto attirò la mia attenzione, con i suoi frutti che spiccavano copiosi e verdi.
Ritornai in camera e cominciai a fare zapping alla televisione. Arrivò mia moglie che mi chiese se avevo visto il coccodrillo: Le dissi di no; così andai a visitare lo zoo dove ospitava oltre il coccodrillo, anche delle scimmie, dei cammelli e altri animali.
Alle 17 fummo pronti per partire dall'aeroporto con un volo egiziano. Dopo le istruzioni sulla sicurezza impartite in inglese da un altoparlante di cui non si capiva quasi niente per la voce distorta, partimmo alla volta di Sharm el Sheik, dove sarebbero scesi dei passeggeri e saliti altri della nostra agenzia. Dopo qualche tempo, l'altoparlante ci avvisò che i passeggeri erano 170, ma i pasti erano solamente 120. Si levarono grida ed esclamazioni denigratorie e sarcastiche. Per chi voleva sacrificarsi veniva offerto un sandwich di consolazione. Io mi proposi fra questi. Dopo due volte che corressi le hostess sulla mia scelta, alla fine mi toccò mangiare il pranzo completo. Altri rimasero senza, ma a questo punto non potevo farci niente.
Dall'oblò si vedevano le luci delle città da basso; ma non si sapeva quali città, e alla fine, dopo che il viaggio riuscì ad annoiarmi, giungemmo a Verona. Da qui, il gruppo di Lonigo prese il pullman che lo aspettava e ci dirigemmo verso questa cittadina della provincia di Vicenza.
Una volta a casa, aprimmo le valigie e presentammo i regali ai figli.